Ho deciso di non morire

Campanotto Editore

PrefazioneRecensioni

Al tempo di “Lost” e de “L’Isola dei famosi”, dove persino lo smarrimento è diventato audience, è ancora “dolce il naufragare in questo mare”? Viene spontaneo chiederselo leggendo i versi dell’ultima silloge di Leda Palma, artista multiverso che a una straordinaria carriera di attrice ha affiancato anche un originale itinerario creativo come scrittrice, in particolare di opere poetiche ricche di suggestione. Viene spontanea la citazione leopardiana perché in questo lavoro è presente l’eterea tensione a un Oltre sentito come necessario, in un atto di coraggiosa “uscita da sé” verso le colonne d’Ercole dei metafisici confini dell’anima.
Con il rischio di perdersi, “oltre la frontiera delle ombre”, “ove per poco il cor non si spaura”.
Valicare quei limiti diventa l’occasione per gettare ogni maschera, e in questo modo smascherare anche “la trappola del mondo”, che dietro a infingimenti e
ipocrisie annulla la nostra umanità. Nel “flusso scardinato da pensieri” trova modo di ridefinirsi anche il flusso del tempo che fugge, la “letargia degli anni” che pare allontanarsi rimpianta come la scialuppa davanti al naufrago. Ma il naufrago, da Ulisse a Robinson, è colui che di fronte alla sua odissea resiste, con costante tenacia. “C’è un dentro di me che vuole un appiglio di ricordi”, dice Leda, ma la pulsione verso la vita non si ferma alla memoria e scalcia inesausta. Apre lo sguardo alle cose con speranza, ma l’esito è impietoso.
L’ispezione della realtà infatti è spietata. Dalla Palestina a “Black Lives Matter”, dal Ruanda alla tragedia senza fine dei migranti, lo sguardo della poetessa diagnostica tutte le “ferite ancora calde” della società di oggi, i nodi al pettine di un’attualità satura di incubi a cielo aperto. E poi il Covid: la cartina di tornasole di “una vita che sloga i giorni” e che insegna nuovamente “questa lezione d’esistere”.
È questa “La suprema istruzione” a cui allude una delle più felici sezioni della raccolta, che apre lo sguardo al mondo della sapienzialità indiana che da sempre affascina Leda Palma. L’India, non solo terra Madre ma compendio di ogni contraddizione, ha insegnato con la sua filosofia a superare la prigione del materialismo in cui l’Occidente è ormai incapsulato. Ricongiungersi all’anima del mondo è possibile solo se si cercano “le stelle nel fango”, e si comprende di essere parte di un Tutto che incorpora in sé sofferenza ed estasi: gli squarci di senso che si aprono, a quel punto, tra “la cognizione del dolore” e l’oblio dei desideri, portano a una nuova consapevolezza, difficile quanto obbligata.
L’espressione ideale di questa coscienza è la poesia, che attraverso la struttura metrica porta in sé allo stesso tempo la natura labirintica del nostro apprendistato
alla vita, ma anche la necessità di ricomporre le tessere di un mosaico spezzato. I versi sono contemporaneamente aspri e carezzevoli, espressione di una corporeità visceralmente femminile ma anche di un esile afflato che ci trasporta verso il puro possibile, dove – per dirla con il “Cantico di creature” “l’innocenza esce dal mattino / si solleva il campo del valore”. Il protagonista di questo componimento è Arjuna, figura che nella Bhagavad Gita si interroga sulla assurdità della guerra e che per questo Krishna ricompensa con la capacità di leggere la vera essenza delle cose, di nutrire compassione e rifuggire la paura della sofferenza e della morte. Il Gange, metafora dell’eterno scorrere del tempo che contiene in sé i bimbi che nuotano felici “mentre le pire infuocano alle spalle”, sigilla l’epifania: “Ero campo di battaglia / un’antenna che prima non prendeva / ora preghiera e stella che / zampilla e non sapeva”. A questo punto “il tuo pronto rinascere è un contagio” che si manifesta attraverso la forza di versi che si fanno quasi una salmodia.
A questo punto il lettore si sarà già accorto che la raccolta è segnata da una forte circolarità. Se la prima sezione ci spiega come sia necessario “Perdersi nel tutto”, la sezione finale ci avverte invece che “Tutto è uno”. Lo scenario non è più l’India, al posto del Gange troviamo un semplice torrente di montagna che “corre e muore / in continuazione” ma serve “a completare il mare”, come ogni goccia di umanità serve a costruire il flusso inesauribile della vita. L’umanità però si incarna in valori, in comunità, in gesti che son sempre più rari, che si vanno perdendo come anche i ritmi della natura che lacera i suoi fiori.
Leda Palma regala un esempio di coerenza artistica e valoriale forte, a cui tutti possiamo attingere senza che la retorica ci travolga. Anche se i suoi versi continuano a essere “un vero grido che si solleva dal cerchio quotidiano che si stringe intorno alla nostra esistenza”, come sosteneva Edith Bruck, quel grido è secco e dolce come sono i nostri giorni. Ci appartiene, ci stuzzica, ci punge, come un sassolino nella scarpa: che dà fastidio ma è un monito decisivo, rispetto a quante sono le difficoltà di ogni strada che percorriamo nel nostro quotidiano naufragio. La bussola per salvarsi è solo la bellezza, e Leda lo sa bene. Per questo ci lascia questo prezioso messaggio nella bottiglia: sta a noi coglierlo, o abbandonarlo alle onde…

Walter Tomada

In questa occasione del solstizio d’Autunno l’Unesco che vede nel suo statuto principi fondamentali come la pace e la cultura nel rispetto dei diritti umani, non per niente ricordiamo qui che la Presidente Signora Renata D’Aronco Capria è stata nominata ‘Messaggero di pace ‘nel tempio nazionale di Monte Grisa dedicato a Maria madre Regina, in una solenne cerimonia il 18 giugno del ’22, l’Unesco presenta 3 artiste friulane: Marina Coccolo, Bruna Bassi in qualità di pittrici che fanno corona dulcis in fundo alla poetessa e attrice Leda Palma. Per queste figure di donna vi porgo un’immagine particolare: un giardino con tre rosai fioriti, tra loro ben definiti nella loro individualità. Il giardino è il paese di Pagnacco tra i colli occidentali del nostro Friuli! Marina Coccolo è figlia d’arte, eredita dal padre Dino il talento, un talento che anche lo zio possiede, Italo Coccolo. Diverso è il loro linguaggio, il padre con atmosfere ovattate e morbide, quello dello zio intessuto di ombre e significati esoterici. Quello di Marina, delicato e sottile, con una tavolozza ben definita di colori, magnifici i ritratti a matita, prime e continue espressioni del suo iter pittorico. Accanto a questi occhieggiano gli acquerelli di Bruna Bassi. Bruna è anche costumista e scrittrice di poesie che mi auguro vengano lette in una serata di questi convivi culturali, in futuro, ampiamente! I suoi lavori mettono in luce la sua sensibilità gentile e il riscatto di donna friulana. Tra le due damigelle pittrici si presenta Leda. Leda si diploma maestra ma non la tocca l’insegnamento e preferisce dedicare il suo tempo all’esperienza del teatro, inizia così il suo destino e giunge a Roma e recita con Albertazzi, Buazzelli, Lavia. Tra I libri pubblicati e altri ancora dal nome famoso! Scrive testi teatrali, corregge bozze, recita, scrive poesie, novelle e tra i libri che hanno toccato la mia curiosità: Il Tibet degli ultimi, presentato nella comunità del compianto Don Di Pazza, presente allora il lama del monastero di Polava, poi il libro ‘I conti dell’anima’ in cui l’incomprensione del padre viene cancellata in un nuovo incontro in cui l’anima fa luce sui trascorsi tra i due e si appaga in un amore rinnovato, e ora questa sera il libro ‘Ho deciso di non morire’. Come nella pittura il linguaggio si evolve anche nella poesia raggiunge trasformazioni che alle volte appaiono incomprensibili ma sono cariche di palpito e di emozioni in un sciorinamento di parole feraci di significati sottesi.
Voi vi chiederete – Ma questo titolo cosa significa?
Moriamo tutti! Ma la morte che intende Leda è il buio dell’anima che porta a essere impauriti, disorientati, senza ritorno con il volto nel fango, ma una piccola luce, un riscatto, risveglia dal sonno per ritrovare l’unità e il desiderio di darsi alla luce riconoscendoci continuamente nella consapevolezza che tutto è UNO e che la vita diventa, seme per tutte le stagioni di felicità. A questo rinascere fanno eco le immagini del passato contrapposte al presente. Risate antiche. Rose sbriciolate nella processione del Corpus Domini,canti di festa allietati dal talento del vino, dal profumo della polenta. Rose rapsodia di un mondo alternativo (passato e presente) lungo la processione cadono i petali sulla strada. Quella strada percorsa ora anche da migranti, rose dalle labbra di api, centro di bellezza, santuario di un gregge che tenta di drizzare il mondo, un mondo che suona scontro di sangue che è un susseguirsi di fatti sbagliati privo di altruismo, indifferente, sintesi di dolore tra vittime appiccicate, ma qualcuno ti apre e nelle vene scorre un dono come talento d’amore e salpi dialogando con Dio.
Questa non è la summa del pensiero di Leda poetessa della rassegnazione!? Non credo, è insito in lei il desiderio di rinnovare il fondo del dolore con la luce dell’anima con la speranza che tutto vada verso la Bellezza, l’Uno, ed è qui, proprio qui che Leda decide di non morire.

Maria Ciani Seren

Genti.ma Sig.ra Palma, sto “esplorando” il Suo volume recentemente presentato a Udine. Ho inviato la mia consorte -persone di intense e selezionatissime letture vere e meditate- che è rimasta “incantata” da molte cose oltre che dalla Sua scrittura.
Il titolo mi aveva subito colpito perché è, almeno nella prima esplicitazione, l’esatto contrario del mio sentire attuale. Mi avvio -forse- alla scrittura di un’opera teatrale che è, di fatto, un “duello” animico lessicale fra Yukio Misihima e Pier Paolo Pasolini. Credo che le vibrazioni che muovono le Sue pagine mi saranno d’aiuto.
Raramente ho conosciuto un’artista ricca, eclettica (grave peccato in Italia, celebrato nel mondo anglosassone), completa, CLASSICA, come Lei.
La ringrazio per ciò che ha fatto, che fa e che farà, per questa forse immeritevole umanità.

Marco Maria Tosolini

C’è in Leda Palma -bene lo osserva Walter Tomada nella agile ma comunque acuta e sensibile prefazione a questa ultima raccolta della poetessa friulana appunto intitolata “HO DECISO DI NON MORIRE”- una marcata, forte circolarità nei versi.
Tornata a vivere nella sua regione dopo un prolungato e proficuo soggiorno a Roma, l’autrice di “Ingiurie e silenzi” ha deciso di ambientarvi le solitudini (esistenziali, fantastiche, immaginative) cresciute dentro le sue liriche sin dall’adolescenza e insieme dentro i “giorni di vita” raccontati in un testo della prima sezione del libro. Dopo averle proiettate sui campi della sua terra d’origine ed espanse su un piano globale in quei resoconti sempre poetici di viaggio che l’hanno anche recentemente caratterizzata (leggeremmo anche in questo modo quelle sue escursioni nelle lontane province del globo), stavolta tutte queste solitudini e inquietudini e gioie sono state spinte a perdersi nel tutto. In un accrescimento di metafisica ma ancora una volta di una fisicità, che investe non tanto o almeno non solo le sue esperienze ma ancor più il corpo della sua poesia.
La raccolta compare nella collana della Campanotto fondata da Lucio Klobas sotto la direzione e la guida della rivista “Zeta” ma non si rimette- come è giusto che sia- ai paradigmi editoriali da quella previsti o almeno cercati e praticati. Il tasso di ricerca mai accordandosi intenzionalmente all’obbligo di tecnicismi e di una stretta sperimentazione formale ma invece muovendosi in una zona – sempre aperta e impregiudicata, anch’essa sperimentale- di percorsi inesplorati, in ondeggiamenti nell’anima o forse meglio ancora nella psiche e estensivamente nello spazio e nel tempo. Filtrando all’interno di un paesaggio friulano ripensato e ritrovato, cioè in una natura profonda che comprende anche la dimensione soggettiva e inconscia e insieme la memoria data anche le sensazioni di perdita e di fine che attraversano e trafiggono il libro.
Soltanto però che a un certo punto sopraggiunge qualcosa da cui Leda è da sempre suggestionata e magnetizzata. La prossimità a ciò che la circonda, cose persone esperienze, quella relazione che è tipica della poesia in generale ma ancor più dei poeti italiani della sua generazione. Quel “Tenersi vicino” che offre titolo all’ultima composizione e nel quale si metaforizzano le immagini della salvezza, o almeno della ripresa, e dove si raccoglie la circolarità alla quale ci si è richiamati all’inizio di questa scheda.

Gualtiero de Santi

Leda palma, HO DECISO DI NON MORIRE, Pasian di Prato (Udine), Campanotto Editore, Prefazione di Walter Tomada.

Ho seguito la poesia di Leda Palma fin da quando pubblicò con le edizioni Tracce “HO RIPIEGATO L’ALBA”. Vi trovai un lievito nuovo rispetto alla produzione di tanti altri che in quegli anni davano alle stampe i loro libri, una piacevole libertà espressiva che sapeva cogliere il senso recondito del fluire della vita e vi trovai una autenticità che non aveva bisogno di orpelli per imporre la bellezza delle immagini e il coagulo di idee e di invenzioni poetiche.
Poi la poesia di Leda è cresciuta nel tempo fino a : “HO DECISO DI NON MORIRE” , di quest’anno, che ha il suo compendio nella penultima poesia del volume, “ Nasco continuamente”. Dice Leda: “la mia voce una lampada viva/ sul libro aperto del cammino”.
E’ vero. Ogni composizione di “HO DECISO DI NON MORIRE” si muove in questa ottica: “Suona veloce il sangue”, del vitalismo “ogni vita al galoppo”, “cancelli binari/ rovesciati” , “c’è l’urlo del vento che sfoglia/ le ali dei gabbiani”, “ogni filo d’erba che s’arranca/ si fa sostanza/ fruscio d’ali nel sangue”.
Non è casuale che Walter Tomada, nella sua bellissima Prefazione tra l’altro annoti che “la pulsione verso la vita non si ferma alla memoria e scalcia inesausta.”
L’esito più eclatante e ben riuscito è che i fatti, gli avvenimenti, le cose, cioè il peso della quotidianità è polverizzato. Polverizzato, non disperso, non svuotato in modo che tutto diventi un’unica cosa, un unico abbraccio, una distesa senza confini.
Sottile, ma viva e come un incenso che vivifica e dà fiato al tutto, Leda sparge il sublime della sua anima e ne fa un serto che offre alla sostanza del vivere.. Non ci sono crocifissioni, mea culpa, annullamenti del proprio essere, ci sono i riconoscimenti del senso e del viaggio interiore, ma mai mortificazioni che diventino sacrificio.
Si legga la meravigliosa poesia “Restate a casa” il cui finale svela il mondo di Leda in maniera aperta e dolce:

…il semplice dei gesti
stendere la tovaglia
cenare insieme
raccontarci il giorno
al caldo della legna
sorvegliare il cuore
un lavoro più attento
uno schiudersi d’orizzonte
stupore di cambiamento
ricomporre l’ospite
sulla porta di ogni casa

E’ l’anima della poetessa nel suo fluire verso la profondità del vivere, il suo viaggio che ha attenzione del filo d’erba, del minimo battito di vento, del sussurro delle stelle. Non è casuale che nel libro ci siano alcuni meravigliosi haiku che ci riportano a una Leda capace di sintetizzare e di saper andare alla sostanza viva del senso e del divenire.
Insomma, un libro che apre spiragli di luce nuova, anche abissi, ma da visitare non da utilizzare per soccombere.
Una poetessa che offre l’anima, l’amarezza e la dolcezza dei suoi pensieri, la divinità della sua parola nata dalle essenze vive dei palpiti del suo cuore e della sua mente sempre legata al pulsare caldo della luce nascosta.

“Quanto manca di me che voi avete
Non c’è bisogno di parole
Il sorriso è leggenda
La grazia abbondanza di cuore.

Dante Maffia

Dopo una carriera eccelsa da attrice, Leda Palma si è regalata una seconda vita artistica abbracciando sempre più decisamente la strada della poesia: per questo il titolo di “Ho deciso di non morire”, la sua ultima raccolta edita da Campanotto che sarà presentata martedì alle 20.30 al Castello Valentinis di Tricesimo, suona molto più che un semplice esercizio di stile. Tutta la parabola artistica di Leda è sempre stata un inno alla libertà creativa: e in questa fase del suo percorso, aver calcato i palcoscenici con assi del sipario come Laviae Bosetti si riverbera anche su un dettato poetico che di raccolta in raccolta cresce in consapevolezza. Avevamo lasciato il suo itinerario creativo alla introspettiva silloge “Dove si incontrano risposte” e alla scherzosa “Suite per gallina sola”, ma dopo la esperienza del Covide questi anni difficili il ripiegamento interiore si è esteso a una riflessione universale sulla “trappole del mondo”, che dietro a infingimenti e ipocrisie annulla la nostra umanità.
La dialettica tra memoria e pulsione vitale, tra speranza e realismo, è un’oscillazione costante intorno a un solo fulcro, quello della bellezza che sola resiste al tempo e alla vacuità. Anche se il male si annida nelle cose, ci sono territori – come quello della sapienzialità indiana – dove la Palma esplora la “cognizione del dolore” e l’oblio dei desideri, che si rivela esattamente il contrario del desiderio dell’oblio largamente coltivato dalla massa nel mondo virtuale. Solo così si giunge a comprendere di essere parte di un Tutto che incorpora in sé sofferenza ed estasi: nel ciclo di una vita che non si interrompe, si può anche decidere di non morire, regalando versi che restano impressi per la loro potenzialità suggestiva.